Per sostenere il nostro stile di vita avremmo bisogno di spazi ben più ampi di quelli che la storia e la natura ci hanno consegnato, e prodotti e servizi in quantità tre volte superiori a quanto fornito dalla sola provincia di Venezia. Ma noi non abbiamo tre province di Venezia, ne abbiamo una sola. Ecco allora arrivare un flusso di materie e di energia verso le nostre città e i nostri territori, costituito soltanto per un terzo dal capitale naturale locale, mentre tutto il resto viene da fuori, da sistemi esterni. Con conseguenze di sostenibilità ambientale su cui la politica economica non può più fare a meno di riflettere.
Su questi concetti base si apre la nuova pubblicazione edita dall'assessorato alle Politiche ambientali della Provincia, dal titolo Impronta ecologica e analisi eMergetica, con cui si mettono a confronto il peso dell'attuale sistema di vita locale con l'insieme delle risorse necessarie a sostenerlo, per verificarne la sostenibilità soprattutto a lungo termine.
La pubblicazione trae lo spunto dalla individuazione di alcuni indicatori concepiti per monitorare l'orientamento alla sostenibilità delle città, messi a punto dalla Commissione europea attraverso un gruppo di lavoro cui hanno partecipato esperti dei paesi membri con il contributo dell'Agenzia europea per l'Ambiente. Gli indicatori sono stati costruiti per fornire un metodo comune di valutazione della sostenibilità locale. Sulla loro base si apprende per esempio che l'impronta dell'Italia è di 3,8 ettari pro capite, mentre la biocapacità, ovvero la capacità naturale del Paese di produrre beni e servizi, è pari a 1,3 ettari. Questo significa che l'Italia ha un deficit ecologico pari a 2,5 ettari.
La pubblicazione raccoglie dunque i risultati del gruppo di lavoro chiamato dall'assessorato alle Politiche ambientali della Provincia, che ha visto il coordinamento scientifico del professor Enzo Tiezzi, tra i fondatori del concetto di "sviluppo sostenibile" nel mondo.
Nei sette capitoli redatti da Enrico Galeazzo, si analizzano gli indicatori biologici , li si calano nel territorio provinciale per giungere a definire quale "impronta ecologica" e quale "biocapacità" esistano, anche rispetto a due parametri tipici del territorio: la laguna e l'impatto turistico. Lo studio rileva esservi "condizioni abbastanza critiche dal punto di vista ambientale, anche se il rapporto di impatto ambientale della provincia non raggiunge i livelli molto elevati che caratterizzano altri territori industrializzati del Paese". Giocano peraltro ruoli diversi i sei diversi distretti territoriali, sì da rilevare "una sorta di bipartizione della provincia, nel senso che alla regione altamente sfruttata in termini di insediamenti produttivi ed urbani, se ne contrappone un'altra (distretti meridionale, sandonatese e portogruarese), dove questo fenomeno di congestione è meno evidente".
Quali soluzioni ipotizzabili per la migliore gestione delle risorse e il benessere della popolazione residente? Le conclusioni, pur non nascondendo elementi di problematicità anche forte, rilevano che il territorio provinciale ha la necessità "di accrescere per il futuro quell'adeguato grado di diversificazione al suo interno per cui aree meno urbanizzate possano far fronte alle esigenze di 'ambiente' espresse da quelle che presentano le maggiori concentrazioni (...). L'ideale sarebbe, dove possibile, recuperare territorio biologicamente produttivo" e contrastare dunque l'omologazione di un modello di puro sfruttamento che non tenga conto dei conti salati che l'ambiente possa presentare alle generazioni future.
Nuovi indicatori ambientali, in provincia si vive per tre Si ricorre troppo alle risorse esterne, quelle locali non bastano più
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